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Ignazio Silone |
Silone
narra di un paese, Fontamara, nel periodo in cui i cafoni sono alle
prese con l’avvento del fascismo. Ed è un fascismo raccontato da chi è
incolto, da chi non sa nulla di politica italiana e neppure di storia,
abituato come è a coltivare la sua terra con dedizione e sacrificio
senza potersi occupare di null’altro. E io lettrice, grazie a Silone,
vedo e penso e agisco dalla parte dei cafoni a cui tutto viene negato,
un po’ alla volta, da leggi ingiuste e
modi prevaricatori avvallati da interpretazioni aberranti. Ma i cafoni,
nonostante siano per natura e per condizione al di fuori del mondo,
vivono l’ingiustizia sulla propria pelle fino al punto da arrivare alla
ribellione. Berardo Viola, l'uomo più forte e robusto di Fontamara,
l’unico che non avendo terra ne moglie esprimeva il suo dissenso con
ragionamenti condivisi soprattutto dai più giovani anche quando le sue
priorità diventeranno altre, per gioco del destino, dopo la morte
dell’amata, diventerà il simbolo della ribellione. Colpisce
l’attaccamento dei Fontamaresi, e probabilmente di tutti i cafoni, alla
terra, coccolata, amata, curata come una persona a cui si vuole bene. E
delle barbarie fasciste si ha finalmente un resoconto scevro da retorica
perché Silone lo racconta, con grande maestria, così come
inconsapevolmente vissuto dai cafoni.